Titolo: Di notte
di Roberta Martinelli
(Italia, 2024, Drammatico, 7’)

Il film si concentra su un singolo personaggio e il suo dialogo interiore, esplorando come la notte possa diventare un momento di riflessione, vulnerabilità e rivelazione personale. La regista utilizza inquadrature essenziali e un’illuminazione minima per creare un’atmosfera intima e quasi surreale.

L’opera riesce a colpire per la sua capacità di trasmettere, senza parole, il peso dei pensieri e dei ricordi che affiorano nelle ore notturne. Martinelli riesce a rappresentare la notte come uno spazio sospeso, dove tempo e realtà sembrano dissolversi, dando al protagonista l’opportunità di confrontarsi con se stesso.

riguarda la scelta stilistica di limitare i dialoghi, affidandosi quasi interamente all’espressione visiva. Questo approccio, pur evocativo, potrebbe lasciare alcuni spettatori con un senso di distacco emotivo, poiché richiede una certa predisposizione alla contemplazione silenziosa. Tuttavia, per chi ama il cinema poetico e suggestivo, questa scelta risulta in linea con il tema del film e contribuisce alla sua autenticità.

Quello che colpisce maggiormente è la capacità di Di notte di evocare un senso di vicinanza emotiva, come se lo spettatore fosse invitato a condividere un momento intimo e nascosto del protagonista. Il film lascia un’impressione forte e persistente, portando a riflettere su come la notte possa rivelare lati inaspettati di noi stessi.

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Titolo: Il giardino delle delizie
di Simone Spampinato
(Italia, 2024, Documentario, 17’)
Riesce a trasmettere una visione profonda e personale dell’opera, combinando immagini suggestive e interviste a esperti d’arte, che permettono allo spettatore di addentrarsi nel simbolismo e nei misteri che circondano il dipinto.

Il regista costruisce un ritmo lento e contemplativo, quasi come se volesse invitare lo spettatore a fermarsi e riflettere sulle complesse tematiche, l’innocenza, la tentazione, e la caduta dell’umanità. La fotografia è curata e precisa, alternando dettagli ravvicinati del dipinto a scene di luoghi evocativi che rispecchiano il contesto storico dell’artista, e questo dà un senso di immersione totale.

Riguarda la durata: 17 minuti sono pochi per esplorare un’opera così densa di simbolismi, e alcuni spettatori potrebbero desiderare un approfondimento maggiore su aspetti specifici del dipinto.
Tuttavia, il film funziona bene come introduzione e stimola la curiosità, lasciando spazio a una riflessione personale.

Ciò che colpisce di più è la capacità del documentario di far percepire lo stupore e la complessità del mondo di Bosch senza ricorrere a spiegazioni eccessive. Spampinato lascia che sia l’opera stessa a parlare, accompagnando lo spettatore in un viaggio visivo che suscita meraviglia e invita a una rilettura personale dei simboli presenti.

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Titolo: La Ballata di Francesco
di Alfonso Core
(Italia, 2024, Drammatico, 13’)
La storia segue il protagonista, Francesco, in un momento cruciale della sua vita, in cui si confronta con le proprie scelte e le conseguenze delle sue azioni. Core utilizza uno stile narrativo semplice e diretto, lasciando che siano i silenzi e i gesti a parlare al posto delle parole.

Il regista crea un’atmosfera intima, caratterizzata da un uso evocativo della luce e delle inquadrature che conferiscono al film un tono malinconico e riflessivo. La sceneggiatura, pur minimalista, lascia spazio a momenti di grande intensità emotiva, permettendo allo spettatore di immedesimarsi nel percorso del protagonista.

Alcuni potrebbero percepire la narrazione come lenta, soprattutto per una durata così breve, ma questa scelta stilistica sembra funzionale a riflettere il peso delle riflessioni di Francesco. Questa lentezza può essere interpretata come un invito a osservare da vicino i dettagli, quasi a seguire il respiro del protagonista.

Quello che colpisce maggiormente è la capacità del film di esplorare, in modo delicato e profondo, il tema della redenzione e del confronto con il passato. La Ballata di Francesco lascia un’impressione duratura, spingendo a riflettere sulle proprie scelte di vita e sulla possibilità di cambiamento.

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Titolo: Bridge
di Tara Aghdashloo
(Gran Bretagna, 2023, Drammatico, 15′)
Il cortometraggio costruisce una narrazione che si sviluppa tra i silenzi, i dialoghi e i momenti sospesi dei protagonisti, rendendo palpabile il divario tra ciò che è stato e ciò che potrebbe essere.

il ponte diventa non solo un luogo fisico, ma anche una rappresentazione simbolica del loro legame incerto. La fotografia, dai toni freddi e volutamente essenziale, amplifica il senso di distanza e di nostalgia, creando un’atmosfera che cattura lo spettatore sin dai primi istanti.

Alcuni spettatori potrebbero percepire una certa distanza emotiva, poiché il film non rivela completamente le motivazioni interiori dei protagonisti. Tuttavia, questa scelta può essere vista come un modo per lasciare spazio all’interpretazione personale, offrendo un’esperienza più soggettiva e riflessiva.

Ciò che colpisce maggiormente in Bridge è la capacità del film di evocare, con grande finezza, il senso di ambiguità e sospensione che accompagna ogni relazione non del tutto conclusa.

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Titolo: Ascoltami
di Francesco Madeo
(Italia, 2024, Drammatico, 10’)
La storia si snoda attorno a un protagonista che cerca disperatamente di essere ascoltato, mettendo in luce la difficoltà di esprimere i propri sentimenti e di trovare comprensione. Con una regia essenziale e un’attenzione particolare ai dettagli, costruisce un racconto intimo che parla di vulnerabilità e di empatia.

La fotografia è sobria e ben calibrata, con inquadrature ravvicinate che permettono di cogliere ogni sfumatura emotiva del protagonista, rendendo lo spettatore partecipe del suo tormento interiore. La colonna sonora, usata con parsimonia, aggiunge tensione e intensità al racconto, senza mai sovrastare l’azione.

Riguarda sul passato del protagonista, che potrebbe lasciare alcuni spettatori con domande non risolte. Tuttavia, questa scelta narrativa sembra mirata a sottolineare l’universalità del tema: il desiderio di essere ascoltati e compresi è qualcosa che tutti possono sentire, indipendentemente dalle specifiche circostanze.

Il cortometraggio invita a riflettere sull’importanza dell’ascolto e sulla bellezza della comprensione reciproca, lasciando una traccia profonda nello spettatore.

 

– Recensione a cura di Sofia Popova, Liceo Artistico M.M Lazzaro.