L’eternità e un giorno del regista Theo Angelopoulos.
L’eternità e un giorno
Salonicco è malinconica di questi tempi, sarebbe facile perdersi in essa, il suo grigiore sembra un invito alla reminiscenza, anche il suo mare, blu e piatto è così nostalgico: un solo sguardo e potresti ritrovarti trent’anni fa in una calda giornata estiva. le condizioni so perfette per un viaggio nella memoria, così perfette che il vecchio Alexander non può resistere, egli sa che questo è il suo ultimo viaggio,quindi senza esitazione, si perde per le buie e violente strade della sua città, sapendo che domani andrà all’ospedale a morire, egli ricorda.
Nel suo vagare la sua vita si intreccia con quella di un bambino, che è un immigrato albanese, vive per le strade, la violenza lo perseguita e quelli come lui, il bambino sarà per Alexander l’unico legame che avrà nel suo ultimo giorno, che lo collega ad una realtà cruda e realistica rendendo il film non solo il viaggio interiore di un uomo morente ma anche il racconto della Grecia di quei tempi, legandolo inevitabilmente alla storia alla realtà sociale e politica del paese del regista.
È forse proprio questo la genialità del film: la rappresentazione della relazione tra il poeta, un uomo perso in ciò che era e ciò che poteva essere e il bambino che non può fare altro che vivere nel crudele presente della realtà. Il film mi stupisce, non ho mai visto una Grecia così scura, così diversa dai mari scintillanti e dal bianco accecante delle casine a cui sono abituata; nonostante ciò il viaggio di Alexander sembra familiare, mi accorgo che condividiamo l’animo distante del poeta;il tipo d’animo che si abbandona alla malinconia, distraendosi dalla realtà che per una ragione o per un altro risulta noiosa e spesso deludente. Per qualcuno come Alexander è preferibile fantasticare sull’idea di uno sconosciuto che incontrarlo veramente, o partire per un viaggio piuttosto che stare in famiglia; lui lo chiama essere poeta, ma la verità è che Alexander vuole solo sfuggire alla faticosa e opprimente quotidianità di una vita normale.
Solo ad un passo dalla tomba finalmente capisce che la sua evasione era un meccanismo di difesa per sottrarsi al dolore di amare e di vivere ; è all’addio finale del bambino che capisce veramente il dolore che le sue assenze hanno provocato a tutti coloro che ha amato. Finalmente capisce di essere solo, e per un ultimo volta si rifugia nell’immaginazione, lì da a sua mogli quello che avrebbe dovuto sempre dargli: se stesso.
– Recensione a cura di Eleonora Tropea, Convitto Nazionale Mario Cutelli (Vincitrice del Premio Migliore Recensione 2024)